«Giusto pubblicare l’immagine di Aylan»
La grande fotografa Letizia Battaglia a Palau per una mostra
di Antonio Mannu
PALAU. «Strappa da te la vanità, ti dico strappala» canta Ezra Pound nell’ottantunesimo dei suoi Canti Pisani. Letizia Battaglia di questi versi parla commossa. «Ci sono due categorie di fotografi: i vanitosi e i resistenti e questi versi di Pound sono di supporto alla mia vita. L’ho incontrato a Venezia, allora non sapevo chi fosse, mi ci ha accompagnato Emilio Isgrò, un poeta. Ero giovane, avevo 26 anni, trucco pesante scuro intorno agli occhi, come si usava. Siamo entrati nella casa, una casa bassa, che abitava insieme alla moglie. Una donna minuta, una vecchina. E quest’uomo dalla barba leonardesca, occhi grandi e intensi. Durante tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme non ha detto una parola, ma il suo sguardo mi ha scosso. Piangevo, piangevo in silenzio, mi si è disfatto il trucco che mi colava sulla guance. Quando sono usciti di casa lui e la moglie portavano ciabatte di pezza».
Letizia Battaglia, fotografa palermitana nata nel marzo del 1935, ha presentato giovedì a Palau, al festival Isole che Parlano, la sua mostra “Fotografie”. Immagini durissime, di morti ammazzati, funerali, donne disperatissime, povertà e dolore. Tra le tante una fotografia ritrae il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella mentre, in una sorta di fraterna Pietà, estrae da un’automobile il corpo spento del fratello Piersanti. «Mi vuole bene il Presidente. Quest’anno mi ha mandato gli auguri per i miei ottant’anni». Immagini durissime, spietate, che però nascono dall’amore. «Come l’immagine di quel bambino sulla spiaggia di Bodrum – dice la grande fotografa siciliana – Immagine delicata che certamente andava fatta e condivisa, di cui penso ogni bene possibile. Sembra un Gesù bambino. E mi fa piacere sapere che sia stata una donna a realizzarla. Non è un caso. Mi piace che sia servita a qualcosa, in concreto, fatto raro per una fotografia. Da fotografa credo che sia frutto di un approccio misurato, invece c’è chi fa polemica. Chi discute se sia stato giusto pubblicarla, chi analizza, ipotizza, viviseziona la storia: bisognerebbe, bisognava. Parole al vento. Dette da chi non c’era e non può sapere, non può immaginare cosa vuol dire esserci. Sempre in quel Canto dice ancora Ezra Pound: “Ma avere fatto in luogo di non avere fatto questa non è vanità”. Chi era su quella spiaggia? C’era quella giovane donna che ha fatto quello che andava fatto. Come io ero là quando Mattarella era appena stato ucciso. Ero là è ho scattato. Se sei un fotografo scatti. Se sei un cafone scatti da cafone, se hai una certa cultura fotografica scatti in altro modo. A volte non puoi essere ne colto ne cafone. Scatti e come viene viene. Sono solidale con questa donna turca. Invece mi fa uno schifo immenso quella persona orribile che ha sgambettato quei profughi in Ungheria. Ne scriverò su Mezzocielo, una rivista che facciamo a Palermo, fatta da donne, donne che parlano. Intitolerò il pezzo “Uno schifo di donna”».
Anche a Letizia Battaglia è successo di fotografare il cadavere di un bambino: «Un bambino di dieci anni che è stato ucciso all’interno di una stazione di rifornimento – racconta – Non si è mai chiarito il perché, forse aveva visto qualcosa. Era riverso a terra, con il viso nascosto, un rivolo di sangue aveva formato una macchia. È una delle mie pochissime foto a colori. Non l’ho mai esposta. Non so perché, ogni volta trovo una scusa. Sino ad ora non l’ho fatto, ma non per un senso moralistico. È il mio subconscio che ogni volta entra in azione: dov’è il negativo, lo cerco e non lo trovo e mi dico: non è arrivato il momento. Ma la voglio esporre, la devo esporre». Le immagini presentate a Palau Letizia Battaglia le definisce fotografie di una sconfitta: «Lo sono certamente – spiega – Anche quell’immagine scattata sulla spiaggia di Bodrun è l’immagine di una sconfitta. La morte di quel bambino, la morte in mare di tutte queste persone è una sconfitta per l’umanità».
Durante la presentazione Letizia Battaglia ha raccontato al pubblico le sue “immagini di una sconfitta”. Lo ha fatto descrivendo, davanti a una moltitudine, le fotografie appese alle pareti, per renderle visivamente immaginabili ad Antonio Are di Bolotana, un non vedente che collabora alla realizzazione di Isole che Parlano curando le rassegne di canti della tradizione sarda. Parlando ha detto del suo dolore, del senso di impotenza che l’ha sempre pervasa, oggi più che mai. «Perché la mafia poteva essere sconfitta e non è stato fatto. Oggi è molto più difficile che in passato». Poi ha risposto alle domande del pubblico. Una bambina ha chiesto: «Perché la mafia uccide?». «Per i soldi, per il potere. Perché
vuole obbedienza per avere soldi e potere». La mostra di Letizia Battaglia è organizzata dall’Associazione Sarditudine in collaborazione con l’Associazione Ogros. Sarà visitabile sino al 30 settembre, aperta tutti i giorni dalle 10 alle 12, dalle 17 alle 20, domenica solo su prenotazione.
fonte: La Nuova Sardegna